Immagine di copertina del saggio storico "La Ribellione di Castrogiovanni contro il Vescovo di Catania" di Eugenio Amaradio tratta da un disegno del Maestro Bruno Caruso.
LA RIBELLIONE DI CASTROGIOVANNI CONTRO IL VESCOVO DI CATANIA saggio storico di Eugenio Amaradio
Il saggio di che trattasi tratta di una rivolta del 1627 contro Innocenzo Massimo Vescovo di Catania che, essendo venuto a Castrogiovanni in visita pastorale, aveva imposto delle gravose pene per "coloro che si erano pratticati prima del loro sponsalizio". Il volume, illustrato dal Maestro Bruno Caruso, è stato pubblicato dalla Lussografica di Caltanissetta nel 2006 ed è ancora in catalogo anche presso le librerie e i siti internet dedicati come Mondadori, IBS etc. al prezzo di €. 35,00.
giovedì 6 agosto 2015
mercoledì 22 febbraio 2012
LA SENTENZA ED IL PROCESSO
La
ribellione si era limitata, in effetti, alla liberazione dei detenuti ed al
tentativo, per altro fallito, di incendiare il Palazzo Pollicarini dove, in
quel momento, era ospitato il Vescovo.
Le
fonti non ci riferiscono di morti e nemmeno di feriti.
La
Corte Vescovile si prese, soltanto, una gran paura.
Tuttavia,
tornando alla narrazione di Pane e Vino[1],
apprendiamo che il Vescovo, invece di perdonare tutti come aveva promesso,
cambiò idea, forse a seguito di pressanti sollecitazioni da parte di alcuni
traditori ennesi.
E
così scomunicò[2] la Città
già il 27 Agosto 1627 e cioè a meno di un mese dai fatti, nonostante che il
Papa del tempo, Urbano VIII, con lettera del 14 Agosto 1627, a firma del suo
Segretario di Stato Cardinal Ottavio Bandini, riportata da De Grossis[3]
e da Padre Giovanni[4],
lo avesse tuttavia invitato a
"farli prima il processo e con procedere anco nel resto giuridicamente e
prudentemente apponghi l'interdetto alla Città .."
Il
documento dell’interdetto[5]
risulta ancora oggi custodito presso gli "Atti dei Vescovi"
dell'archivio dell'Arcive- scovado di Catania e ci viene riportato
integralmente nel suo testo in latino dai citati storici coevi Pirri e De
Grossis e poi anche da Padre Giovanni.
Si
tratta di un atto storico di grande importanza,
sbalorditivo per un lettore del XXI secolo.
In
esso Innocenzo Massimo comincia con l'affermare che "Un'offesa fatta ai
vescovi, essendo inflitta a Cristo, su mandato del quale essi esercitano la
carica, crucifige il Signore; coloro che perseguitano i suoi sacerdoti, ipso
facto, cadono nei rigori canonici, nella maledizione e nell’anatema ...".
E continua che ... "essendo cadute in queste misure la maggior parte del
popolo di Castrogiovanni, per quei fatti in cui peccarono contro di noi e
contro la nostra dignità episcopale ... lanciamo questa giusta punizione contro
tutta quanta detta Città ... che sentiamo nel nostro cuore paterno ...".
Pertanto "... “tutta quanta la suddetta Città di Castrogiovanni ed il suo
territorio e tutti gli abitanti nell'insieme e presi ad uno ad uno li
interdiciamo "a divinis", ordinando categoricamente ... a tutti i
Rettori delle Chiese, insieme e ad uno ad uno, ai Ministri, ai Priori, ai
Cappellani, ed ai Parroci ... di non celebrare o consentire funzioni religiose;
non ammettano alcuno ai sacramenti ... non osino celebrare messe, nè recitare
l'ufficio divino, nè benedire matrimoni; non osino accompagnare i corpi dei
defunti alla sepoltura ecclesiastica nè facciano pubbliche processioni ..."
Si
può immaginare facilmente quale gravità abbia avuto per i cittadini del tempo
tale interdetto che vietava, tra l'altro e come si è costatato, la
somministrazione di tutti i sacramenti.
Anche
la reazione del potere politico, in un primo tempo, non fu tenera. Il nostro
Fra Gieronimo[6],
continuando nella narrazione dei fatti, ci dice che il Presidente del Regno,
Arrigo Pimantel, Conte di Villada[7],
aveva mandato un distaccamento spagnolo per garantire la calma ed evitare,
evidentemente, nuovi tumulti.
Nel
contempo arrivava a Messina il nuovo Vicerè Francesco Fernandez de la Cueva,
Duca di Alburquerque[8]
e tutti i Giurati andarono a domandare la grazia per Castrogiovanni ed il
ritiro delle truppe.
Il
nuovo Vicerè, in tale occasione, sembrò che avesse accolto le istanze degli
Ennesi, ordinando il ritiro delle truppe ed invitando il Vescovo a togliere la
scomunica. Tale fu la gioia degli Ennesi che “una procissioni s'ordinau”.Invece,
in una nota[9]
a margine del suo manoscritto, Padre Giovanni ci dà la notizia che il 5
Dicembre dello stesso anno, su sollecitazione del Vescovo e di altri influenti
personaggi, il Vicerè aveva inviato ad Enna Antonio Costa, Giudice della Gran Corte,
per istruire il processo. Questi, come ci narra Fra Gieronimo, terrorizzò gli
Ennesi a tal punto che molti fuggirono.La
sentenza[10],
poi, fu particolarmente dura ed addossò la responsabilità del moto ai notabili
che non lo avevano impedito. Infatti, condannò due giurati al pagamento di
duemila scudi ciascuno, un terzo giurato al pagamento di trecento scudi ed il
Capitano al pagamento di quattromila scudi.
La
sorte dei plebei, pur ritenuti soltanto esecutori materiali, fu ben diversa:
cinque furono condannati al carcere a vita ed altri cinque al carcere per dieci
anni. Di questi, però, tre morirono in carcere per i supplizi ricevuti.
Cinquanta cittadini circa furono banditi dalla Città .. e “fu spaventu a tutta
la Citati, Sentendu la sentenza eseguita”.
[1] Fra Gieronomo, op.
cit., ottave 31 e segg.
[2] Vedi nota n.1 nella
prefazione.
[3] J. B. De Grossis,
Catana Sacra, op.cit., p. 284
[4]
Padre Giovanni, op. cit., p. 109.
[5]
"Innocentius etc . . . Iniuria quae Episcopis fit, cum Christo, cuius
legatione funguntur, inferatur Dominumque crucifigant; qui suos sacerdotes
persecuntur; incidantque ipso facto in Canones, ac censuras, maleditiones, et anathemata bulle in cena domini incurrant;
cumque in has inciderit maior pars populi
Civitatis Castri Ioannis per ea quae in nos ac nostram episcopalem
dignitatem notorie delinquerunt sub die primi augusti huius praesentis anni
1627. Ideo in iustam totius dictae civitatis afflictionem, quam et nos paternis
visceribus sentimus aliisque iustis de causis debita matura ac debita
consultatione cum Sanctissimo Domino nostro Urbano Papa VIII° ac sede
Apostolica, servatis servandis, ac omni meliori modo totam praedictam civitatem
Castri Ioannis eiusque territorium, ac omnes et singulos habitatores generaliter
interdicimus, atque a divinis prohibemus districte precipientes sub penis juris
atque aljis nostro arbitrio inferendis
omnibus et singulis Ecclesiarum rectoribus et ministris prioribus cappellanis
ac parrochis ac personis tam secularibus quam regularibus cuiuscumque ordinis
ac sexus ne divina celebrare audeant aut permittant neque ullos ad sacramenta
recipiant preterquam in casibus a iure
exceptis, quare nec missas facere neque divina officia celebrare praesumant neque
nuptias benedicere aut corpora defunctorum sepulturae ecclesiasticae tradere
audeant, aut pubblicas processiones instituant, nihilque prorsus earum agant,
quae a jure fieri proibentur tempore generalis interdicti. Datum in urbe
Cathanae et in nostro Episcopali Palatio die 26 Augusti 1627".
Dall'originale
conservato presso l'Archivio dell'Arcivescovado di Catania e da Padre Giovanni,
op. cit., p. 109.
[6]
Fra Gieronimo, op. cit., ottava 35.
[7]
Arrigo Pimantel, Conte di Villada, figlio primogenito del Vicerè Antonio Pimantel, Marchese di Tavora, fu
nominato da questi, poco prima di morire il 28 Marzo 1627, Presidente del Regno
(vedi Giovanni Evangelista Di Blasi, Storia Cronologica de’ Vicerè,
Luogotenenti e Presidenti del Regno di Sicilia, Palermo 1790/91.
[8]
Francesco Fernandez de La Cueva, Duca di Alburquerque, già Ambasciatore a Roma
alla Corte Pontificia, fu nominato Vicerè del Regno di Sicilia con dispaccio
del 30 Maggio 1627, si insediò a Messina nel Settembre dello stesso anno ed a
Palermo nel Novembre successivo. (vedi G. E. Di Blasi, op. cit., p. 87).
[9]
Padre Giovanni, op. cit., p. 110.
[10]
Dato che non è stato possibile trovare il processo e la sentenza della Gran
Corte in quanto il relativo fondo fu danneggiato dai bombardamenti del 1943, le
notizie riportate sono tratte da Fra Gieronimo, op. cit., ottava 55 e segg.
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LA VISITA PASTORALE E LA RIBELLIONE
Viscuvu
in Catania ci stetti
Innoccenziu Massimu Romanu
---
Regnandu a Roma Papa VIII Urbanu
Fici la Curti di genti imperfetti
---
Innoccenziu Massimu Romanu
---
Regnandu a Roma Papa VIII Urbanu
Fici la Curti di genti imperfetti
---
Con
questi versi viene data la notizia che, durante il papato di Urbano VIII[1],
Innocenzo Massimo[2]
era stato nominato[3] Vescovo della Diocesi di Catania, da cui
dipendeva allora anche Castrogiovanni, oggi Enna e che questi, nell'esercizio
del suo ministero, si era circondato di persone, quanto meno, imperfette.
E’
con questi stessi primi versi, in ottava rima siciliana, che comincia un
poemetto, di notevole interesse storico e glottologico ed anche di qualche
pregio letterario, intitolato "Relazione veridica di tutto quello che
successe nella ribellione contro il Vescovo Innocenzo Massimo Romano"
composto da tale Fra Gieronimo Pane e Vino[4],
che fu poeta dialettale ennese. Il manoscritto relativo è inserito in altro
manoscritto che ci ha lasciato Padre Giovanni dei Cappuccini[5]
sulla storia di Enna, dove lo rappresenta anche in effigie con un disegno
approssimativo ed elementare e ci dice che "Hieronimus Pane e Vino fuit
excellens poeta ennensis".
Data
la sua grafia, lo stesso appare copiato da un testo precedente da Padre
Giovanni che sembra abbia aggiunto agli errori dei suoi predecessori anche i
suoi per cui, in alcuni punti, appare non originale ed, a volte, diviene anche
incomprensibile.
In
quest'opera si narra, con dovizia di particolari ed in 284 ottave, per un
totale di ben 2.272 versi, di un fatto
storico avvenuto in Enna nel 1627, sino a poco tempo addietro poco noto ai più[6].
Fra
Gieronimo ci racconta che in quell’anno il Vescovo Innocenzo fece una visita
pastorale nella Diocesi e già a Piazza Armerina e ad Agira, allora S. Filippo,
aveva lasciato un pessimo ricordo per il gran male che aveva fatto. Quando
arrivò ad Enna, fece delle cose inaudite incarcerando uomini onorati ed,
addirittura, donne incinte ed altre con lattanti.
Non
essendo specificato il perché di tanta violenza, cerchiamo di capirne i motivi.
Lo
stesso Vescovo, in una sua relazione “ad limina” del 1629[7],
cerca di giustificarsi in ordine ai fatti di Enna assumendo che aveva visitato
la diocesi per “la estirpazione dei peccati di usura, specialmente quella
privata”. Dice ancora che “… con l‘aiuto di Dio, ogni giorno ci rivolgiamo alla
riforma dei costumi” e poi che “niente è stato trascurato affinché i decreti
del Sacrosanto Concilio Tridentino venissero osservati …” ed, infine, che “sono
state difese le giurisdizioni e le libertà conformemente alle sanzioni dello
stesso Concilio”.
Rocco
Pirri, nella sua monumentale opera "Sicilia Sacra"[8]
del 1638, parlando del Vescovo Innocenzo e dei fatti di Castrogiovanni e
ricordando altre sue malefatte, si limita a definirlo "avido del
danaro" e mette in evidenza che gli Ennesi lo "accusavano come ladro
dei loro beni".
Anche
Giovanni Battista Grossi o De Grossis, nella sua “Catana Sacra”[9]
del 1654, si limita ad affermare che “A molti tuttavia è sembrato che Innocenzo
abbia sbagliato e sia stato avido e cupido senza eguali”
Appare,
invece, più preciso e circostanziato Padre Giovanni dei Cappuccini che, nel suo
manoscritto citato, ci narra[10]
che il Vescovo Innocenzo era venuto ad Enna per la correzione dei costumi ed,
essendo questi: "avido del danaro e la sua Corte un puoco libertina, fece
fare nuova inquisizione su tutti coloro li quali s'havevano contratti in
matrimonio e s'havessero pratticato prima del suo sponsalizio, stante detto
Vescovo haver stabilito la pena pecuniaria e, trovando che erano trasgressori
molti Castrogiovannesi, prendevano le moglie, stante l'huomini contrattati con
le suddette si ritiravano nelle campagne e parte li carceravano nel pubblico
Castello e parte nel Palazzo, con operando la Corte molte discolerie..."
Il popolo ennese, dopo
aver chiesto invano giustizia ai Giurati, saccheggiò ed in parte incendiò il
Palazzo Pollicarini dove risiedeva il Vescovo. Poi assaltò il Castello di
Lombardia, sede delle carceri, da dove
furono liberati soltanto coloro che vi erano imprigionati per ordine del
Vescovo, distruggendo le porte della prigione.
Questi fatti avvennero
il primo di Agosto del 1627.
La ribellione, o forse
sarebbe meglio dire il tumulto, continuò sino a notte inoltrata senza che si
riuscisse a placare, più che il furore, lo sdegno della gente.
Il Vescovo riuscì a
sfuggire a stento ai tumultuanti nascondendosi prima nel sottotetto e poi
abbandonando il palazzo attraverso i tetti; mentre il suo Consigliere Fiscale
Don Calcerano Intrigliolo trovò ricovero addirittura dentro una botte.
La calma potè, poi,
tornare soltanto dopo l'intervento pacificatore del clero locale che portò in
processione prima il Sacramento e poi la statua della Madonna della
Visitazione, Patrona della Città.
"Rimedi
efficaci", come riporta Paolo Vetri[11],
altro storico ennese, "che collo scendere della notte facevano dissolvere
quel popolo, e permettere al Vescovo di uscire dalla tana, il quale riparando
pure nella prossima casa dei gesuiti, smarrito ancora, in quel primo momento di
coscienza esclamava e ripeteva: la colpa è dello Intrigliolo, perdono a
tutti."
Così si concluse, in un
solo episodio, il moto popolare senza che, in sostanza, i tumultuanti avessero
provocato gravi ed irreparabili danni alle cose e, sopratutto, alle persone.
[1]
Urbano VIII (Maffeo Barberini) fu papa dal 1623 al 1644. Parteggiò per la
Francia nella guerra dei Trent'anni, durante il suo pontificato fu processato
Galileo Galilei e fu condannato il Giansenismo.
[2]
Innocenzo, della nobile famiglia dei Principi Massimo di Roma che si diceva
discendesse dall’antica famiglia dei Fabii, nacque a Roma nel 1581 da
Alessandro Massimo e Olimpia de Cuppis, fu Cubiculario del Papa Leone VI,
Vicelegato in Ferrara del Papa Paolo V, Vescovo di Bertinoro, Nunzio
straordinario in Savoia, Mantova e Milano e Nunzio ordinario in Firenze ed in
Spagna del Papa Gregorio XV, fu nominato Vescovo di Catania il 6 Giugno 1624
(vedi nota che segue). Morì a Catania a 52 anni per un attacco di epilessia il
21 Agosto 1633. Adolfo
Longhitano ha tracciato un esaustivo ritratto storico del Nostro in “Le
Relazioni “ad limina” della Diocesi di Catania” (1695/1890) Vol. I, Studio
Teologico San Paolo, Catania, p.113 e segg.,
in corso di pubblicazione.
[3]
In virtù dei poteri conferiti ai Re di Sicilia con la bolla di Papa Urbano II
del 5 Luglio 1098, detta della “Legazia Apostolica”, la nomina di Innocenzo
avvenne con regia lettera del 6 Giugno 1624 durante il regno di Filippo IV
(1605/1665), Re di Spagna e di Sicilia dal 1621, quando succedette al padre
Filippo III. Vicerè per il Regno di Sicilia era allora Antonio Pimantel,
Marchese di Tavora, nominato il 24 Dicembre 1621 e deceduto in carica il 3
Agosto 1624 per peste. Il Papa Urbano VIII ratificò poi tale nomina nel
concistoro del 1° Luglio 1624 per cui Innocenzo, dopo aver preso possesso della
diocesi per procura il 5 ottobre successivo, infine arrivò a Catania il 13
giugno 1625.
[4] Fra Gieronomo Pane e
Vino si chiamava in effetti Carlo Francesco Geronimo “Pane e Vino”, era nato
l’8 aprile 1666 da Antonio e Rosolia Carruba ed aveva composto in siciliano
altre poesie spirituali in occasione della siccità del 1689 e per la
liberazione della Città dal terremoto del 1693 (vedi Diego Ciccarelli nella
premessa a P. Giovanni dei Cappuccini, Storia di Castrogiovanni, pubblicata a
cura di Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009, p. 12
di cui alla nota che segue).
[5] Padre Giovanni da Carbonara, detto dei
Cappuccini, "predicatore ed ex lettore di Sagra Teologia", ci ha lasciato un manoscritto intitolato
“Istoria veridica dell’Inespugnabile Città di Castrogiovanni e delle sue
antichità e notizie vetuste riportate dalli Autori Istoriografi li quali
eccedono il numero di 180 con sue Citazioni Parafrasi e Numeri e Carte raccolte
e poste a suo ordine”, comunemente conosciuto come “Storia di Enna”, messo
insieme nella forma attuale dal 1720 al 1752, in atto conservato
presso la locale Biblioteca Comunale e di cui è stata pubblicata la
trascrizione del II° tomo con il titolo “Storia di Castrogiovanni” a cura di
Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009. Il detto
manoscritto probabilmente è pervenuto, insieme a parecchie altre opere della
stessa biblioteca, dai conventi locali a seguito dell'esproprio dei beni
ecclesiastici avvenuto dopo l'unità d'Italia con le leggi eversive del 1866 e
1867 che estesero al Regno d'Italia le così dette leggi Siccardi, emanate nel
Regno di Sardegna nel 1850.
[6] Nel 2006 è stato
pubblicato in proposito ed a cura dello scrivente il volume “La Ribellione di
Castrogiovanni contro il Vescovo di Catania, Un episodio di storia siciliana
del 1627” Ed. Lussografica di Caltanissetta.
[7] Le relazioni “ad
limina” dovevano essere redatte da tutti i Vescovi e consegnate alla Santa Sede
ogni tre anni personalmente o, in caso di impedimento, a mezzo di un
procuratore speciale. Quelle del Vescovo Innocenzo Massimo sono pubblicate da Adolfo
Longhitano in “Le Relazioni ad limina della Diocesi di Catania (1595/1632)” in
Sinoxis I, 1983, p. 225 – 229 e dallo stesso in “Le Relazioni “ad limina” della
Diocesi di Catania (1695/1890), op.cit.
[8]
Rocco Pirri, Sicilia Sacra, Lib. III, Ecclesiae Catanensis, Panormi, 1638, pp.
71/73.
[9] Giovanni Battista
Grossi o De Grossis, Catana Sacra, Catanae 1654, LXXVII.
[10]
Padre Giovanni dei Cappuccini, op. cit., pp. 107/111.
[11]
Paolo Vetri, Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni di Napoli,
Piazza Armerina, 1887, p. 323.
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PREFAZIONE
La Città di
Castrogiovanni, oggi Enna, si rivoltò nel 1627 contro il Vescovo di Catania
Innocenzo Massimo e fu scomunicata[1].
La storia di tale
avvenimento e di tutte le vicissitudini successive ha avuto, nei secoli, la
sorte particolare di essere stata ignorata o, quantomeno, trascurata dai più
sino a qualche anno addietro.
Leggendo l'opera di
Paolo Vetri "Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni" venni
a conoscenza di questo episodio storico e così appresi che, in proposito,
esisteva un poemetto manoscritto in ottava rima siciliana di tale Fra Gieronimo
Pane e Vino. Questo documento era custodito presso la Biblioteca Comunale di
Enna. Ne ottenni copia e cercai di interpretarlo.
Poi, per anni, mi
occupai "sine cura" e saltuariamente dell'argomento.
In occasione di un mio
viaggio a Roma riuscii ad essere ammesso nell'Archivio Segreto del Vaticano e
lì trovai, con grande emozione, alcuni interessanti riscontri sul Vescovo
Innocenzo Massimo, ma nulla sulla rivolta di Enna.
A Palermo, all'Archivio
di Stato, mi fu comunicato che il fondo relativo alla Gran Corte, dove
potrebbero essere stati conservati gli atti del processo penale conseguente
alla rivolta, era stato notevolmente danneggiato dagli eventi bellici del 1943
e non era stato più riordinato.
Presso l'Archivio
dell'Arcivescovado di Catania rinvenni negli “Atti dei Vescovi” soltanto
l'originale della scomunica.
Poi ebbi a visitare la
Cattedrale di Catania e nell’abside lessi …. INNOCENTIUS MAXIMUS EPISCOPUS FECIT …scritto
a lettere cubitali e, nel transetto di
destra, accanto all’altare della Madonna, trovai la tomba dello stesso Vescovo.
Il notevole rilievo della scritta di cui sopra, del monumento funebre e della
lapide elogiativa, stimolò ulteriormente la mia curiosità.
Continuate quindi le
ricerche, rinvenni parecchie fonti sull'argomento, le misi in ordine, le
trascrissi e le tradussi. Contemporaneamente cominciai a scrivere una
esposizione sintetica dei fatti, con alcune note per inquadrare il periodo
storico e qualche commento tratto sia dalle fonti sia da alcuni approfondimenti
relativi al Seicento, con qualche riferimento anche agli effetti del Concilio
di Trento sugli usi e costumi delle nostre popolazioni.
Nel 2006 pubblicai la
prima edizione del mio lavoro intitolandola “La Ribellione di Castrogiovanni
contro il Vescovo di Catania – Un episodio di storia siciliana del 1627”,
magnificamente illustrata dal maestro Bruno Caruso e con i tipi dell’Ed.
Lussografica di Caltanissetta.
In particolare curai il
poemetto di Fra Gieronimo che, purtroppo, non pubblicai per intero per motivi
editoriali dato che il volume, illustrato dal Caruso, fu realizzato come libro
d’arte, cui mal si adattava l’integrale trascrizione dei versi del poemetto.
Assunsi però con me
stesso l’obbligazione di pubblicare per intero il poemetto trascritto, tradotto
ed annotato. Adempiendo ora a questo impegno, dò alle stampe una seconda
edizione del mio lavoro, in veste economica, sperando di favorirne la
diffusione e di sollecitare gli studi in proposito.
Nella prima parte di
questa nuova edizione ripropongo, aggiornandola, l’esposizione sintetica dei
fatti, con alcune note per inquadrare il periodo storico e qualche ridotto
commento.
Nella seconda parte ed
in appendice, pubblico oggi la trascrizione fedele del poemetto manoscritto di
Fra Gieronimo, prima interpretato e trascritto e poi annotato.
Purtroppo non ho potuto
raggiungere lo scopo desiderato di tradurre il testo dal siciliano all’italiano,
come mi ero prefisso, dato che i risultati ottenuti non sono stati
soddisfacenti.
Nel complesso però il
poemetto è leggibile e spero che la sua lettura possa dare ad altri il
godimento che ha dato a me.
L’autore
[1] Parecchie fonti
parlano di “scomunica” e non di “interdetto”, come più correttamente avrebbero
dovuto. Infatti interdetto, nel diritto canonico. è la pena consistente
nell’esclusione di una persona, di una chiesa o di un territorio dai benifici
spirituali, senza tuttavia sciogliere chi ne è colpito dalla comunione con la
Chiesa, come in effetti avvenne nel caso che ci occupa. La scomunica, che è il
termine più comunemente usato e quindi di più facile comprensione, è invece
pena diversa e più grave che consiste nell’esclusione dei fedeli oltre che dai
sacramenti anche dai loro diritti. (v. Aldo Gabrielli, Il Grande Italiano
2008).
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