mercoledì 22 febbraio 2012

LA VISITA PASTORALE E LA RIBELLIONE

Viscuvu in Catania ci stetti
Innoccenziu Massimu Romanu
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Regnandu a Roma Papa VIII Urbanu
Fici la Curti di genti imperfetti
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Con questi versi viene data la notizia che, durante il papato di Urbano VIII[1], Innocenzo Massimo[2] era stato nominato[3]  Vescovo della Diocesi di Catania, da cui dipende­va allora anche Castrogiovanni, oggi Enna e che questi, nell'esercizio del suo ministero, si era circondato di persone, quanto meno, imperfette.
E’ con questi stessi primi versi, in ottava rima siciliana, che comincia un poemetto, di notevole interesse storico e glottologico ed anche di qualche pregio letterario, intitolato "Relazione veridica di tutto quello che successe nella ribellione contro il Vescovo Inno­cenzo Massimo Romano" composto da tale Fra Gieronimo Pane e Vino[4], che fu poeta dialettale ennese. Il manoscritto relativo è inserito in altro manoscritto che ci ha lasciato Padre Giovanni dei Cappuccini[5] sulla storia di Enna, dove lo rappresenta anche in effigie con un disegno approssimativo ed elementare e ci dice che "Hieronimus Pane e Vino fuit excellens poeta ennensis".
Data la sua grafia, lo stesso appare copiato da un testo precedente da Padre Giovanni che sembra abbia aggiunto agli errori dei suoi predecessori anche i suoi per cui, in alcuni punti, appare non originale ed, a volte, diviene anche incomprensibile.
In quest'opera si narra, con dovizia di particolari ed in 284 ottave, per un totale di ben 2.272  versi, di un fatto storico avvenuto in Enna nel 1627, sino a poco tempo addietro poco noto ai più[6].
Fra Gieronimo ci racconta che in quell’anno il Vescovo Innocenzo fece una visita pastorale nella Diocesi e già a Piazza Armerina e ad Agira, allora S. Filippo, aveva lasciato un pessimo ricordo per il gran male che aveva fatto. Quando arrivò ad Enna, fece delle cose inaudite incarcerando uomini onorati ed, addirittura, donne incinte ed altre con lattanti.
Non essendo specificato il perché di tanta violenza, cerchiamo di capirne i motivi.
Lo stesso Vescovo, in una sua relazione “ad limina” del 1629[7], cerca di giustificarsi in ordine ai fatti di Enna assumendo che aveva visitato la diocesi per “la estirpazione dei peccati di usura, specialmente quella privata”. Dice ancora che “… con l‘aiuto di Dio, ogni giorno ci rivolgiamo alla riforma dei costumi” e poi che “niente è stato trascurato affinché i decreti del Sacrosanto Concilio Tridentino venissero osservati …” ed, infine, che “sono state difese le giurisdizioni e le libertà conformemente alle sanzioni dello stesso Concilio”. 
Rocco Pirri, nella sua monumentale opera "Sicilia Sacra"[8] del 1638, parlando del Vescovo Innocenzo e dei fatti di Castrogiovanni e ricordando altre sue malefatte, si limita a definirlo "avido del danaro" e mette in evidenza che gli Ennesi lo "accusavano come ladro dei loro beni".
Anche Giovanni Battista Grossi o De Grossis, nella sua “Catana Sacra”[9] del 1654, si limita ad affermare che “A molti tuttavia è sembrato che Innocenzo abbia sbagliato e sia stato avido e cupido senza eguali”
Appare, invece, più preciso e circostanziato Padre Giovanni dei Cappuccini che, nel suo manoscritto citato, ci narra[10] che il Vescovo Innocenzo era venuto ad Enna per la correzione dei costumi ed, essendo questi: "avido del danaro e la sua Corte un puoco libertina, fece fare nuova inquisizione su tutti coloro li quali s'havevano contratti in matrimonio e s'havessero pratticato prima del suo sponsalizio, stante detto Vescovo haver stabilito la pena pecuniaria e, trovando che erano trasgressori molti Castrogiovannesi, pren­devano le moglie, stante l'huomini contrattati con le suddette si ritiravano nelle campagne e parte li carceravano nel pub­blico Castello e parte nel Palazzo, con operando la Corte molte discolerie..."
Il popolo ennese, dopo aver chiesto invano giustizia ai Giurati, saccheggiò ed in parte incendiò il Palazzo Pollicarini dove risiedeva il Vescovo. Poi assaltò il Castello di Lombardia, sede delle  carceri, da dove furono liberati soltanto coloro che vi erano imprigionati per ordine del Vescovo, distruggendo le porte della prigione.
Questi fatti avvennero il primo di Agosto del 1627.
La ribellione, o forse sarebbe meglio dire il tumulto, continuò sino a notte inoltrata senza che si riuscisse a placare, più che il furore, lo sdegno della gente.
Il Vescovo riuscì a sfuggire a stento ai tumul­tuanti nascondendosi prima nel sottotetto e poi abbandonando il palazzo attraverso i tetti; mentre il suo Consigliere Fiscale Don Calcerano Intrigliolo trovò ricovero addirittura dentro una botte.
La calma potè, poi, tornare soltanto dopo l'intervento pacifi­catore del clero locale che portò in processione prima il Sa­cramento e poi la statua della Madonna della Visitazione, Patrona della Città.
"Rimedi efficaci", come riporta Paolo Vetri[11], altro storico ennese, "che collo scendere della notte facevano dissolvere quel popolo, e permettere al Vescovo di uscire dalla tana, il quale riparando pure nella prossima casa dei gesuiti, smarrito ancora, in quel primo momento di coscienza esclamava e ripeteva: la colpa è dello Intrigliolo, perdono a tutti."
Così si concluse, in un solo episodio, il moto popolare senza che, in sostanza, i tumultuanti avessero provocato gravi ed irreparabili danni alle cose e, sopratutto, alle persone.


[1] Urbano VIII (Maffeo Barberini) fu papa dal 1623 al 1644. Parteggiò per la Francia nella guerra dei Trent'anni, durante il suo pontificato fu processato Galileo Galilei e fu condannato il Giansenismo.
[2] Innocenzo, della nobile famiglia dei Principi Massimo di Roma che si diceva discendesse dall’antica famiglia dei Fabii, nacque a Roma nel 1581 da Alessandro Massimo e Olimpia de Cuppis, fu Cubiculario del Papa Leone VI, Vicelegato in Ferrara del Papa Paolo V, Vescovo di Bertinoro, Nunzio straordinario in Savoia, Mantova e Milano e Nunzio ordinario in Firenze ed in Spagna del Papa Gregorio XV, fu nominato Vescovo di Catania il 6 Giugno 1624 (vedi nota che segue). Morì a Catania a 52 anni per un attacco di epilessia il 21 Agosto 1633. Adolfo Longhitano ha tracciato un esaustivo ritratto storico del Nostro in “Le Relazioni “ad limina” della Diocesi di Catania” (1695/1890) Vol. I, Studio Teologico San Paolo, Catania, p.113 e segg.,  in corso di pubblicazione.
[3] In virtù dei poteri conferiti ai Re di Sicilia con la bolla di Papa Urbano II del 5 Luglio 1098, detta della “Legazia Apostolica”, la nomina di Innocenzo avvenne con regia lettera del 6 Giugno 1624 durante il regno di Filippo IV (1605/1665), Re di Spagna e di Sicilia dal 1621, quando succedette al padre Filippo III. Vicerè per il Regno di Sicilia era allora Antonio Pimantel, Marchese di Tavora, nominato il 24 Dicembre 1621 e deceduto in carica il 3 Agosto 1624 per peste. Il Papa Urbano VIII ratificò poi tale nomina nel concistoro del 1° Luglio 1624 per cui Innocenzo, dopo aver preso possesso della diocesi per procura il 5 ottobre successivo, infine arrivò a Catania il 13 giugno 1625. 
[4] Fra Gieronomo Pane e Vino si chiamava in effetti Carlo Francesco Geronimo “Pane e Vino”, era nato l’8 aprile 1666 da Antonio e Rosolia Carruba ed aveva composto in siciliano altre poesie spirituali in occasione della siccità del 1689 e per la liberazione della Città dal terremoto del 1693 (vedi Diego Ciccarelli nella premessa a P. Giovanni dei Cappuccini, Storia di Castrogiovanni, pubblicata a cura di Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009, p. 12 di cui alla nota che segue).
[5] Padre Giovanni da Carbonara, detto dei Cappuccini, "predicatore ed ex lettore di Sagra Teologia",  ci ha lasciato un manoscritto intitolato “Istoria veridica dell’Inespugnabile Città di Castrogiovanni e delle sue antichità e notizie vetuste riportate dalli Autori Istoriografi li quali eccedono il numero di 180 con sue Citazioni Parafrasi e Numeri e Carte raccolte e poste a suo ordine”, comunemente conosciuto come “Storia di Enna”, messo insieme nella forma attuale dal 1720 al 1752, in atto conservato presso la locale Biblioteca Comunale e di cui è stata pubblicata la trascrizione del II° tomo con il titolo “Storia di Castrogiovanni” a cura di Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009. Il detto manoscritto probabilmente è pervenuto, insieme a parecchie altre opere della stessa biblioteca, dai conventi locali a seguito dell'esproprio dei beni ecclesiastici avvenuto dopo l'unità d'Italia con le leggi eversive del 1866 e 1867 che estesero al Regno d'Italia le così dette leggi Siccardi, emanate nel Regno di Sardegna nel 1850.
[6] Nel 2006 è stato pubblicato in proposito ed a cura dello scrivente il volume “La Ribellione di Castrogiovanni contro il Vescovo di Catania, Un episodio di storia siciliana del 1627” Ed. Lussografica di Caltanissetta.
[7] Le relazioni “ad limina” dovevano essere redatte da tutti i Vescovi e consegnate alla Santa Sede ogni tre anni personalmente o, in caso di impedimento, a mezzo di un procuratore speciale. Quelle del Vescovo Innocenzo Massimo sono pubblicate da Adolfo Longhitano in “Le Relazioni ad limina della Diocesi di Catania (1595/1632)” in Sinoxis I, 1983, p. 225 – 229 e dallo stesso in “Le Relazioni “ad limina” della Diocesi di Catania (1695/1890), op.cit. 
[8] Rocco Pirri, Sicilia Sacra, Lib. III, Ecclesiae Catanensis, Panormi, 1638, pp. 71/73.
[9] Giovanni Battista Grossi o De Grossis, Catana Sacra, Catanae 1654, LXXVII.
[10] Padre Giovanni dei Cappuccini, op. cit., pp. 107/111.
[11] Paolo Vetri, Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni di Napoli, Piazza Armerina, 1887, p. 323.

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