Innoccenziu Massimu Romanu
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Regnandu a Roma Papa VIII Urbanu
Fici la Curti di genti imperfetti
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Con
questi versi viene data la notizia che, durante il papato di Urbano VIII[1],
Innocenzo Massimo[2]
era stato nominato[3] Vescovo della Diocesi di Catania, da cui
dipendeva allora anche Castrogiovanni, oggi Enna e che questi, nell'esercizio
del suo ministero, si era circondato di persone, quanto meno, imperfette.
E’
con questi stessi primi versi, in ottava rima siciliana, che comincia un
poemetto, di notevole interesse storico e glottologico ed anche di qualche
pregio letterario, intitolato "Relazione veridica di tutto quello che
successe nella ribellione contro il Vescovo Innocenzo Massimo Romano"
composto da tale Fra Gieronimo Pane e Vino[4],
che fu poeta dialettale ennese. Il manoscritto relativo è inserito in altro
manoscritto che ci ha lasciato Padre Giovanni dei Cappuccini[5]
sulla storia di Enna, dove lo rappresenta anche in effigie con un disegno
approssimativo ed elementare e ci dice che "Hieronimus Pane e Vino fuit
excellens poeta ennensis".
Data
la sua grafia, lo stesso appare copiato da un testo precedente da Padre
Giovanni che sembra abbia aggiunto agli errori dei suoi predecessori anche i
suoi per cui, in alcuni punti, appare non originale ed, a volte, diviene anche
incomprensibile.
In
quest'opera si narra, con dovizia di particolari ed in 284 ottave, per un
totale di ben 2.272 versi, di un fatto
storico avvenuto in Enna nel 1627, sino a poco tempo addietro poco noto ai più[6].
Fra
Gieronimo ci racconta che in quell’anno il Vescovo Innocenzo fece una visita
pastorale nella Diocesi e già a Piazza Armerina e ad Agira, allora S. Filippo,
aveva lasciato un pessimo ricordo per il gran male che aveva fatto. Quando
arrivò ad Enna, fece delle cose inaudite incarcerando uomini onorati ed,
addirittura, donne incinte ed altre con lattanti.
Non
essendo specificato il perché di tanta violenza, cerchiamo di capirne i motivi.
Lo
stesso Vescovo, in una sua relazione “ad limina” del 1629[7],
cerca di giustificarsi in ordine ai fatti di Enna assumendo che aveva visitato
la diocesi per “la estirpazione dei peccati di usura, specialmente quella
privata”. Dice ancora che “… con l‘aiuto di Dio, ogni giorno ci rivolgiamo alla
riforma dei costumi” e poi che “niente è stato trascurato affinché i decreti
del Sacrosanto Concilio Tridentino venissero osservati …” ed, infine, che “sono
state difese le giurisdizioni e le libertà conformemente alle sanzioni dello
stesso Concilio”.
Rocco
Pirri, nella sua monumentale opera "Sicilia Sacra"[8]
del 1638, parlando del Vescovo Innocenzo e dei fatti di Castrogiovanni e
ricordando altre sue malefatte, si limita a definirlo "avido del
danaro" e mette in evidenza che gli Ennesi lo "accusavano come ladro
dei loro beni".
Anche
Giovanni Battista Grossi o De Grossis, nella sua “Catana Sacra”[9]
del 1654, si limita ad affermare che “A molti tuttavia è sembrato che Innocenzo
abbia sbagliato e sia stato avido e cupido senza eguali”
Appare,
invece, più preciso e circostanziato Padre Giovanni dei Cappuccini che, nel suo
manoscritto citato, ci narra[10]
che il Vescovo Innocenzo era venuto ad Enna per la correzione dei costumi ed,
essendo questi: "avido del danaro e la sua Corte un puoco libertina, fece
fare nuova inquisizione su tutti coloro li quali s'havevano contratti in
matrimonio e s'havessero pratticato prima del suo sponsalizio, stante detto
Vescovo haver stabilito la pena pecuniaria e, trovando che erano trasgressori
molti Castrogiovannesi, prendevano le moglie, stante l'huomini contrattati con
le suddette si ritiravano nelle campagne e parte li carceravano nel pubblico
Castello e parte nel Palazzo, con operando la Corte molte discolerie..."
Il popolo ennese, dopo
aver chiesto invano giustizia ai Giurati, saccheggiò ed in parte incendiò il
Palazzo Pollicarini dove risiedeva il Vescovo. Poi assaltò il Castello di
Lombardia, sede delle carceri, da dove
furono liberati soltanto coloro che vi erano imprigionati per ordine del
Vescovo, distruggendo le porte della prigione.
Questi fatti avvennero
il primo di Agosto del 1627.
La ribellione, o forse
sarebbe meglio dire il tumulto, continuò sino a notte inoltrata senza che si
riuscisse a placare, più che il furore, lo sdegno della gente.
Il Vescovo riuscì a
sfuggire a stento ai tumultuanti nascondendosi prima nel sottotetto e poi
abbandonando il palazzo attraverso i tetti; mentre il suo Consigliere Fiscale
Don Calcerano Intrigliolo trovò ricovero addirittura dentro una botte.
La calma potè, poi,
tornare soltanto dopo l'intervento pacificatore del clero locale che portò in
processione prima il Sacramento e poi la statua della Madonna della
Visitazione, Patrona della Città.
"Rimedi
efficaci", come riporta Paolo Vetri[11],
altro storico ennese, "che collo scendere della notte facevano dissolvere
quel popolo, e permettere al Vescovo di uscire dalla tana, il quale riparando
pure nella prossima casa dei gesuiti, smarrito ancora, in quel primo momento di
coscienza esclamava e ripeteva: la colpa è dello Intrigliolo, perdono a
tutti."
Così si concluse, in un
solo episodio, il moto popolare senza che, in sostanza, i tumultuanti avessero
provocato gravi ed irreparabili danni alle cose e, sopratutto, alle persone.
[1]
Urbano VIII (Maffeo Barberini) fu papa dal 1623 al 1644. Parteggiò per la
Francia nella guerra dei Trent'anni, durante il suo pontificato fu processato
Galileo Galilei e fu condannato il Giansenismo.
[2]
Innocenzo, della nobile famiglia dei Principi Massimo di Roma che si diceva
discendesse dall’antica famiglia dei Fabii, nacque a Roma nel 1581 da
Alessandro Massimo e Olimpia de Cuppis, fu Cubiculario del Papa Leone VI,
Vicelegato in Ferrara del Papa Paolo V, Vescovo di Bertinoro, Nunzio
straordinario in Savoia, Mantova e Milano e Nunzio ordinario in Firenze ed in
Spagna del Papa Gregorio XV, fu nominato Vescovo di Catania il 6 Giugno 1624
(vedi nota che segue). Morì a Catania a 52 anni per un attacco di epilessia il
21 Agosto 1633. Adolfo
Longhitano ha tracciato un esaustivo ritratto storico del Nostro in “Le
Relazioni “ad limina” della Diocesi di Catania” (1695/1890) Vol. I, Studio
Teologico San Paolo, Catania, p.113 e segg.,
in corso di pubblicazione.
[3]
In virtù dei poteri conferiti ai Re di Sicilia con la bolla di Papa Urbano II
del 5 Luglio 1098, detta della “Legazia Apostolica”, la nomina di Innocenzo
avvenne con regia lettera del 6 Giugno 1624 durante il regno di Filippo IV
(1605/1665), Re di Spagna e di Sicilia dal 1621, quando succedette al padre
Filippo III. Vicerè per il Regno di Sicilia era allora Antonio Pimantel,
Marchese di Tavora, nominato il 24 Dicembre 1621 e deceduto in carica il 3
Agosto 1624 per peste. Il Papa Urbano VIII ratificò poi tale nomina nel
concistoro del 1° Luglio 1624 per cui Innocenzo, dopo aver preso possesso della
diocesi per procura il 5 ottobre successivo, infine arrivò a Catania il 13
giugno 1625.
[4] Fra Gieronomo Pane e
Vino si chiamava in effetti Carlo Francesco Geronimo “Pane e Vino”, era nato
l’8 aprile 1666 da Antonio e Rosolia Carruba ed aveva composto in siciliano
altre poesie spirituali in occasione della siccità del 1689 e per la
liberazione della Città dal terremoto del 1693 (vedi Diego Ciccarelli nella
premessa a P. Giovanni dei Cappuccini, Storia di Castrogiovanni, pubblicata a
cura di Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009, p. 12
di cui alla nota che segue).
[5] Padre Giovanni da Carbonara, detto dei
Cappuccini, "predicatore ed ex lettore di Sagra Teologia", ci ha lasciato un manoscritto intitolato
“Istoria veridica dell’Inespugnabile Città di Castrogiovanni e delle sue
antichità e notizie vetuste riportate dalli Autori Istoriografi li quali
eccedono il numero di 180 con sue Citazioni Parafrasi e Numeri e Carte raccolte
e poste a suo ordine”, comunemente conosciuto come “Storia di Enna”, messo
insieme nella forma attuale dal 1720 al 1752, in atto conservato
presso la locale Biblioteca Comunale e di cui è stata pubblicata la
trascrizione del II° tomo con il titolo “Storia di Castrogiovanni” a cura di
Carmelo Bonarrigo per la Biblioteca Francescana, Palermo, 2009. Il detto
manoscritto probabilmente è pervenuto, insieme a parecchie altre opere della
stessa biblioteca, dai conventi locali a seguito dell'esproprio dei beni
ecclesiastici avvenuto dopo l'unità d'Italia con le leggi eversive del 1866 e
1867 che estesero al Regno d'Italia le così dette leggi Siccardi, emanate nel
Regno di Sardegna nel 1850.
[6] Nel 2006 è stato
pubblicato in proposito ed a cura dello scrivente il volume “La Ribellione di
Castrogiovanni contro il Vescovo di Catania, Un episodio di storia siciliana
del 1627” Ed. Lussografica di Caltanissetta.
[7] Le relazioni “ad
limina” dovevano essere redatte da tutti i Vescovi e consegnate alla Santa Sede
ogni tre anni personalmente o, in caso di impedimento, a mezzo di un
procuratore speciale. Quelle del Vescovo Innocenzo Massimo sono pubblicate da Adolfo
Longhitano in “Le Relazioni ad limina della Diocesi di Catania (1595/1632)” in
Sinoxis I, 1983, p. 225 – 229 e dallo stesso in “Le Relazioni “ad limina” della
Diocesi di Catania (1695/1890), op.cit.
[8]
Rocco Pirri, Sicilia Sacra, Lib. III, Ecclesiae Catanensis, Panormi, 1638, pp.
71/73.
[9] Giovanni Battista
Grossi o De Grossis, Catana Sacra, Catanae 1654, LXXVII.
[10]
Padre Giovanni dei Cappuccini, op. cit., pp. 107/111.
[11]
Paolo Vetri, Castrogiovanni dagli Svevi all'ultimo dei Borboni di Napoli,
Piazza Armerina, 1887, p. 323.
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